LA PSICOANALISI A INDIRIZZO LACANIANO
Sigmund FreudOriginariamente
le parole erano magie e, ancora oggi, la parola ha conservato molto del suo
antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice l’altro o
spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere
agli allievi, con le parole l’oratore trascina con sé l’uditorio e ne determina
i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo comune
con il quale gli uomini si influenzano tra loro.
S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi È un concetto da lungo tempo superato e derivante da apparenze superficiali, quello secondo il quale l’ammalato soffrirebbe per una specie d’insipienza, per cui, se si elimina questa insistenza fornendogli informazioni (sulla connessione causale della sua malattia con la vita da lui trascorsa, sulle esperienze della sua infanzia e così via) egli dovrebbe guarire. Non è un tale “non sapere” per se stesso il fattore patogeno, ma la radice di questo “non sapere” è nelle resistenze interne del malato, le quali in un primo tempo hanno provocato il “non sapere” e ora fanno in modo che esso permanga. Il compito della terapia sta nel combattere queste resistenze. La comunicazione di quanto l’ammalato non sa perché lo ha rimosso, è soltanto uno dei preliminari necessari per la terapia. Se la conoscenza dell’inconscio fosse tanto importante per il paziente quanto ritiene chi è inesperto di psicoanalisi, basterebbe per la guarigione che l’ammalato ascoltasse delle lezioni o leggesse dei libri. Ma tali misure hanno sui sintomi della malattia nervosa la stessa influenza che la distribuzione di liste di vivande in tempo di carestia può avere sulla fame. S. Freud, Psicoanalisi “selvaggia” |
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Jacques LacanIo dico sempre la verità: non tutta, perché a dirla tutta non ci si riesce. Dirla tutta è materialmente impossibile: mancano le parole. È proprio per questo impossibile che la verità attiene al reale.
J. Lacan, "Televisione". Siamo una cosa sola. Tutti sanno, naturalmente, che non è mai capitato che due facessero uno, ma insomma, siamo una cosa sola. È da qui che parte l'idea dell'amore. J. Lacan, Il Seminario. Libro XX
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L'angoscia nell'esperienza analitica
di Enza Perilli
Le analisi iniziano sempre con una domanda. Per domandare cosa? Un'interpretazione, un senso. "Le analisi cominciano con il significante del transfert. [...] Occorre che il soggetto incontri qualcosa al cui proposito si domanda, 'cosa vuol dire?' Perché un'analisi cominci."[1] Spesso le analisi iniziano con una domanda di guarigione, di felicità. E come risponde lo Psy? Questo aspetto determina in gran parte le differenze che caratterizzano i vari approcci e orientamenti terapeutici, così come le diverse figure professionali che il soggetto che si rivolge a un professionista della salute mentale può incontrare e, inoltre, è strettamente collegato all'etica che guida i differenti orientamenti e il personale modo di lavorare.
Innanzitutto lo Psy può rispondere alla domanda. Così facendo può agire una dinamica relazionale che coinvolge se stesso da un lato e il paziente dall'altro, sull'asse immaginario (a-a'). Ancora, lo Psy può suggestionare e suggerire risposte dall'alto del Sapere che il paziente suppone egli detenga. In alternativa, ed è la posizione assunta dall'analista, egli si rifiuta di essere il padrone pur occupando il posto di Altro, di Soggetto Supposto Sapere e si sospende l'azione per non fermare la domanda, rispondendo un "non so ed è per questo che bisogna che tu parli",[2] lasciando a questa domanda la possibilità di articolarsi fino a divenire intransitiva e aprire le porte all'enigma. Questa è la domanda articolata al sintomo ed è a partire da qui che può essere sviluppato un percorso di tipo analitico.
Alla domanda l'analista risponde con il desiderio, portatore di un meno. Questo può disangosciare perchè l'angoscia appare quando c'è un troppo laddove, invece, dovrebbe esserci un posto vuoto, il posto dell'oggetto a di cui l'angoscia non fa che segnalare la presenza. Quando tale posto si trova a essere tappato da qualcos'altro, il risultato è l'affetto di angoscia. "Ciò che resta terapeutico è innanzitutto il desiderio, contro l'angoscia è il rimedio più forte. La consapevolezza sappiamo che è fondamentalmente una rinuncia al desiderio."[3]
"Freud dice che l'angoscia è legata alla perdita dell'oggetto, mentre Lacan afferma che essa sorge quando la mancanza viene a mancare, cioè quando è presente l'oggetto e quando c'è un troppo d'oggetto. Mentre l'amore conserva il posto della mancanza dell'Altro, l'angoscia viene a colmare questa mancanza e allo stesso modo produce l'aphanisis dell'Altro, questa aphanisis dell'Altro che è ciò che dà la certezza. [...] L'amore che consiste nel dare ciò che non si ha, va avanti sprovvisto, mentre l'angoscia non è senza oggetto."[4]
L'angoscia è funzionale all'analisi quando è tale da permettere un continuo rilancio della catena significante. Nei casi in cui c'è una forte identificazione alla propria immagine ideale, come spesso accade nelle anoressie, un senso di onnipotenza e un godimento del proprio sintomo, elemento che si riscontra tipicamente nelle varie forme di dipendenza, uno degli effetti attesi nell'analisi è proprio l'emergenza dell'angoscia affinchè si crei una divisione soggettiva a partire dalla quale lavorare per una rettifica dei rapporti del soggetto con il reale. L'angoscia è una dimensione fondante l'essere umano e attraverso un percorso di analisi si cerca di restituire a ognuno il proprio singolare rapporto con tale affetto.[5]
Concludendo, all'interno dell'esperienza analitica l'analista risponde a tutto ciò con "un desiderio di ottenere la differenza assoluta, quella che interviene quando, confrontato col signifcante primordiale, il soggetto giunge per la prima volta in posizione di assoggettarvisi."[6]
[1] J. A. Miller, "L'inizio delle analisi" ne I paradigmi del godimento, Astrolabio, Roma 2001 p. 145.
[2] Ibidem, p. 161.
[3] J. A. Miller, "L'inizio delle analisi" ne I paradigmi del godimento, Astrolabio, Roma, 2001 p. 164.
[4] J. A. Miller, Langoscia. Introduzione al Seminario X di Lacan, Quodlibet, Macerata, 206 p. 84.
[5] D.Cosenza, Il muro dell'anoressia. Astrolabio, Roma, 2008 p. 176.
[6] Lacan Jacques, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Torino, Einaudi, 1979 p. 271.
Innanzitutto lo Psy può rispondere alla domanda. Così facendo può agire una dinamica relazionale che coinvolge se stesso da un lato e il paziente dall'altro, sull'asse immaginario (a-a'). Ancora, lo Psy può suggestionare e suggerire risposte dall'alto del Sapere che il paziente suppone egli detenga. In alternativa, ed è la posizione assunta dall'analista, egli si rifiuta di essere il padrone pur occupando il posto di Altro, di Soggetto Supposto Sapere e si sospende l'azione per non fermare la domanda, rispondendo un "non so ed è per questo che bisogna che tu parli",[2] lasciando a questa domanda la possibilità di articolarsi fino a divenire intransitiva e aprire le porte all'enigma. Questa è la domanda articolata al sintomo ed è a partire da qui che può essere sviluppato un percorso di tipo analitico.
Alla domanda l'analista risponde con il desiderio, portatore di un meno. Questo può disangosciare perchè l'angoscia appare quando c'è un troppo laddove, invece, dovrebbe esserci un posto vuoto, il posto dell'oggetto a di cui l'angoscia non fa che segnalare la presenza. Quando tale posto si trova a essere tappato da qualcos'altro, il risultato è l'affetto di angoscia. "Ciò che resta terapeutico è innanzitutto il desiderio, contro l'angoscia è il rimedio più forte. La consapevolezza sappiamo che è fondamentalmente una rinuncia al desiderio."[3]
"Freud dice che l'angoscia è legata alla perdita dell'oggetto, mentre Lacan afferma che essa sorge quando la mancanza viene a mancare, cioè quando è presente l'oggetto e quando c'è un troppo d'oggetto. Mentre l'amore conserva il posto della mancanza dell'Altro, l'angoscia viene a colmare questa mancanza e allo stesso modo produce l'aphanisis dell'Altro, questa aphanisis dell'Altro che è ciò che dà la certezza. [...] L'amore che consiste nel dare ciò che non si ha, va avanti sprovvisto, mentre l'angoscia non è senza oggetto."[4]
L'angoscia è funzionale all'analisi quando è tale da permettere un continuo rilancio della catena significante. Nei casi in cui c'è una forte identificazione alla propria immagine ideale, come spesso accade nelle anoressie, un senso di onnipotenza e un godimento del proprio sintomo, elemento che si riscontra tipicamente nelle varie forme di dipendenza, uno degli effetti attesi nell'analisi è proprio l'emergenza dell'angoscia affinchè si crei una divisione soggettiva a partire dalla quale lavorare per una rettifica dei rapporti del soggetto con il reale. L'angoscia è una dimensione fondante l'essere umano e attraverso un percorso di analisi si cerca di restituire a ognuno il proprio singolare rapporto con tale affetto.[5]
Concludendo, all'interno dell'esperienza analitica l'analista risponde a tutto ciò con "un desiderio di ottenere la differenza assoluta, quella che interviene quando, confrontato col signifcante primordiale, il soggetto giunge per la prima volta in posizione di assoggettarvisi."[6]
[1] J. A. Miller, "L'inizio delle analisi" ne I paradigmi del godimento, Astrolabio, Roma 2001 p. 145.
[2] Ibidem, p. 161.
[3] J. A. Miller, "L'inizio delle analisi" ne I paradigmi del godimento, Astrolabio, Roma, 2001 p. 164.
[4] J. A. Miller, Langoscia. Introduzione al Seminario X di Lacan, Quodlibet, Macerata, 206 p. 84.
[5] D.Cosenza, Il muro dell'anoressia. Astrolabio, Roma, 2008 p. 176.
[6] Lacan Jacques, Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Torino, Einaudi, 1979 p. 271.